L’astuto scamotaggio degli uomi mascherati

L’astuto scamotaggio degli Uomi Mascherati
(assieme a Cinzia Zagato)
I Cani, 2009
Quest’opera apocrifa, non autorizzata e amplagghed, dando un contributo di carnale consistenza al Mito colonialista mascherato da pirla, svela verità scomode (anzi, a ben contarle, una sola) sull’Eroe che, giganteggiando fra i pigmei, infervorò le fantasie ingenuotte della generazione dei nonni e qualche bisnonno.

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Avevo iniziato questa storia per puro divertimento, per vacanza! mettendo una vignetta dopo l’altra senza la minima idea di che cosa sarebbe successo poi. La molla di partenza erano le assurde incongruenze del protoeroe mascherato che fa il giustiziere nel tempo libero, quando glielo consentono i suoi doveri di sovrano dei pigmei… del Bengala! L’originale, lo leggevo da bambino fra i vecchi fumetti di mio padre sopravvissuti alla pur nobile funzione d’accendere il camino dello zio Piero, e per quanto fossi piccolo e ingenuo, e sentissi il fascino degli anelli a teschio che lasciano lo stampino sulle mascelle dei cattivi presi a pugni, non mi capacitavo del fatto che per circolare in borghese il Nostro s’intabarrasse d’impermeabile, cappello, foulard e occhiali scuri anziché cavarsi via il costume di sotto.
Avevo proceduto così, alla selvaggia, per più di metà della storia. Ogni tanto mi provavo a far leggere lo storyboard a qualche amico: la maggior parte faceva risolini forzati e imbarazzanti. Raramente il lettore di turno si rivelava un eletto, e si sganasciava. Così ho capito che il mio personale enzima umoristico è di una specie poco diffusa. E dopo un po’, di questa storia mi sono dimenticato.
Verso la fine dell’esperienza dei Cani, è tornata fuori. Cinzia si è entusiasmata! Assieme abbiamo lavorato di buzzo buono alla sceneggiatura per trovare un senso a una trama che al senso pareva allergica. Ci siamo divertiti, abbiamo riso un sacco e l’intreccio, letto a posteriori, è quasi un orologino di precisione, altro che improvvisazione. L’unico buco di sceneggiatura superstite regge una battuta surreale a cui non rinuncerei mai.
E si ride (chi ride, i pochi che ridono, è inteso) fino all’ultima pagina: l’esigenza di chiudere il cerchio non è a scapito dell’umorismo. Risultato di cui sono orgoglioso.
Sì, sono orgoglioso di questa storiella idiota!

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